Gli ultimi due anni hanno portato a un radicale cambio delle abitudini di lavoro; la necessità di star lontani ha reso infatti indispensabile quello che viene (impropriamente) chiamato Smart Working. I vantaggi sono tanti e, in parte, palesi; ciò che però in tanti tendono a ignorare sono alcuni svantaggi e difficoltà che ne possono derivare. Aldilà delle implicazioni sulla salute fisica MBK Fincom, che da sempre implementa tutte le best practice necessarie a creare un ecosistema aziendale vivo e funzionale, ha voluto indagare su un aspetto cruciale di cui soffrono tanti smart workers: il bisogno di socialità. Ma andiamo per gradi.
Bisogna partire da un presupposto: per Smart Working (in italiano Lavoro Agile) non si intende assolutamente telelavoro; questo potrebbe andare in contrasto su come lo SW è stato applicato dalla maggior parte delle aziende e dalla PA. La corretta applicazione dello SW, infatti, non implica semplicemente lo spostamento dell’orario di lavoro dall’ufficio a casa, ma una progressione dello stesso per task e obiettivi, con una gestione (quasi) totalmente libera delle ore lavorative da parte del lavoratore.
Fatta questa premessa, ci rendiamo già conto di come in alcuni contesti (come quello italiano), nonostante già dagli anni ‘90 si conoscesse questa pratica, la “novità” è stata implementata male, con ripercussioni piuttosto negative. Non mancano certo i vantaggi (di cui parleremo); tuttavia, avere in mano un’arma efficace che poi, nella pratica, non si sfrutta adeguatamente, rischia di trasformarla in un malus molto pericoloso.
I vantaggi dello Smart Working
Tra i benefici derivanti da una (corretta) applicazione dello Smart Working, possiamo distinguere i vantaggi del lavoratore, i vantaggi dell’azienda e, infine, quelli ambientali.
Per quanto riguarda i vantaggi del lavoratore, vediamo un taglio alle spese (e allo stress) legati a pendolarismo e, più in generale, agli spostamenti; il senso di responsabilità e di autogestione dei dipendenti aumenta, così come la capacità di gestione delle proprie task e dei propri compiti. Aumenta la produttività (le statistiche parlano di un aumento tra il 68 e il 76%), così come l’efficienza e l’efficacia delle misure che si prendono; tutto questo in relazione alla diminuzione dello stress e dell’aumento di contatto con la propria sfera familiare e/o personale.
Per le aziende, va da sé che un dipendente più soddisfatto e produttivo è un guadagno. Il risparmio poi è legato ai costi relativi all’energia, alle spese in ufficio, alla gestione d’impianti e tecnologie; l’incremento delle competenze digitali è un altro plus, specialmente se legato a un discorso di flussi di lavoro e soddisfazione delle task aziendali.
L’ambiente ne beneficia dal punto di vista dell’inquinamento; minori spostamenti significa minori emissioni di CO2, meno produzione di rifiuti in ufficio e in viaggio, meno sprechi.
Il subentro degli svantaggi
Purtroppo però, come per tutte le situazioni idilliache, non è solo piacere. Il risvolto della medaglia, spesso ignorato o non presentato, è un insieme di svantaggi e problemi, spesso soprasseduti con la stessa negligenza; nel tempo, rischiano di accumularsi e portare a un paradosso dello smart working, in cui tutta la serie di best practice verrà mal vista proprio a cagione delle criticità che esploderanno.
Lavorativamente, lo scambio d’idee e informazioni è cruciale; ritrovarsi a lavorare esclusivamente in remoto riduce la comunicazione e la rende inefficace. Non solo per la comunicazione formale; gli scambi informali tra livelli e reparti differenti, con la frequenza e la spontaneità del fisico, sono una delle direttrici della corretta convivenza lavorativa. Videoconferenze e messaggistica istantanea non possono sostituire quello che, secondo le statistiche, è considerato il mezzo di comunicazione più efficace, ossia lo scambio diretto. Di conseguenza, comunicazione inefficace e supervisione fallace portano risultati negativi dal punto di vista delle prestazioni aziendali, e tutto l’ecosistema lavorativo ne paga le conseguenze
Dal punto di vista della salute fisica, uno dei problemi più grandi è legato alla crescente abitudine alla sedentarietà che lo SW porterebbe; se anche in ufficio le ore alla scrivania sono tante, intervallandole a pause pranzo, caffè, tragitto casa-lavoro il carico diminuisce notevolmente. Stando a casa (e spesso lavorando direttamente dal divano o, peggio, dal letto), si innesca un circolo di problemi legati appunto alla sedentarietà, che coinvolgono non solo possibili danni posturali, ma tutta una serie di difficoltà legate all’aumento di peso e tutti i danni conseguenti.
I problemi emotivo-psicologici
Da non ignorare sono le problematiche relative alla sfera emotiva e psicologica del lavoratore (ma anche del datore di lavoro); d’altronde, l’uomo è un animale sociale, e togliere la convivialità dall’equazione lavorativa può essere forse il rischio maggiore.
Le due criticità più frequenti, oltre che quelle più impattanti, sono l’isolamento e l’iperconnessione; se del primo parleremo più specificatamente in seguito, possiamo invece illustrare di cosa si tratta la seconda.
Non avendo i limiti fisici dello spostamento, lavorare in casa significa, nella pratica, connettersi tramite PC o smartphone; va da sé che la semplicità del gesto rischia di sfociare nell’abitudinarietà e nella dipendenza dallo stesso. Voler sempre esser connessi con l’ufficio, sentirsi costantemente in “debito lavorativo” porta a sviluppare un bisogno di collegarsi senza interruzione alle proprie mansioni; un comportamento simile non solo è controproducente dal punto di vista lavorativo, ma estremamente dannoso da quello psico-sanitario. Non accorgersi di aver superato un limite porta al cosiddetto workaholism, o lavoro compulsivo, che potrebbe sfociare in disturbi ben più gravi come la sindrome da burnout o, in casi estremi, depressione e disturbi d’ansia. In tutto ciò, il work-life balance, (equilibrio lavoro – vita personale) ne risente in maniera negativa, deteriorando i rapporti privati e creando potenziali conflitti in famiglia.
Il fantasma dell’isolamento
L’isolamento è una condizione più manifesta, ma anche più subdola.
Se all’inizio poter godere dei propri spazi, di un ambiente di lavoro più silenzioso (o più chiassoso e musicale, in base ai gusti), senza distrazioni e disturbi può apparire come una prospettiva piacevole, a lungo andare la mancanza di relazioni con i colleghi diventa deteriorante.
Vivere in una bolla isolata, poi, genera nel tempo (in molto meno tempo di quanto si pensi), ansia e stress, con le conseguenze psicologiche di cui abbiamo parlato anche riguardo all’iperconnessione.
Ma per fortuna esistono rimedi attivi e metodi di prevenzione; la socialità è infatti uno dei motori non solo del lavoro, ma della vita attiva di ogni individuo.
Adeguare le sedi e le corporate practice
MBK ha elaborato negli anni una strategia di welfare aziendale ibrida, ma che porta risultati positivi sia sul breve che sul lungo termine.
Non escludendo la possibilità di gestire il lavoro in remoto in base a esigenze specifiche (e in modalità davvero smart), abbiamo preferito implementare l’esperienza dei nostri dipendenti lavorando sul loro livello di soddisfazione nell’ambiente lavorativo fisico.
Tramite regolari survey e con il supporto delle nostre HR, siamo riusciti a definire degli ambienti di lavoro in cui contatto e privacy trovano una loro ratio, permettendo al dipendente di gestire le proprie task in maniera autonoma ma non isolata. Ambienti e momenti sociali sono equamente suddivisi nell’orario di lavoro (flessibile), e l’aver messo a disposizione del personale piccole comodità quotidiane ha incrementato la loro produttività di diversi punti percentuali.
Quello che però crea tanto engagement e brand employment sono la richiesta di partecipazione nelle dinamiche decisionali; tramite le nostre piattaforme in house, chiediamo a TUTTI i nostri collaboratori di partecipare con idee, proposte e opinioni, in modo da far capire loro che non sono un numero in mezzo a un gestionale orari, ma persone che contano e partecipano attivamente alla costruzione dell’azienda.
Conclusione
Come nella massima latina “in medio stat res”; tutto ciò che riguarda la gestione delle proprie task in remoto, e quindi le dinamiche di smart working, non è da evitare, se non da implementare in maniera corretta.
Ma sacrificare il benessere dei propri dipendenti e il loro bisogno di socialità in cambio di un po’ di produttività flessibile in più può essere comunque deleterio. Disegnare un ambiente lavorativo adeguato, in cui i bisogni relazionali vengono rispettati in seno alle più innovative pratiche HR può essere la soluzione vincente negli anni a venire.
Fonti:
- PR aziendali
- Dipartimento HR produceShop (https://mbkfincom.com)
- WHO
- Trend-Online
- International Journal of Psychology
- Tio.ch
- L’Espresso
- TCIWealth
- Inside Marketing