Una crisi molto particolare sta colpendo in questo momento il mercato del lavoro; non si tratta della consueta assenza di posti, o di una crisi dei contratti (problemi comunque sempre presenti e gravi). Quello che negli ultimi tempi si riscontra è un profondo gap tra domanda e offerta; non solo da un punto di vista quantitativo ma, nella fattispecie, dal lato qualitativo.
L’ultimo anno di pandemia ha contribuito a generare una situazione in cui i dati risultano essere di difficile interpretazione. Se da un lato infatti il livello generale di occupazione scende, dall’altro alcune figure professionali, legate specialmente al mercato del lavoro digitale, stanno diventando estremamente complesse da trovare.
Ecco perché MBK, sempre alla ricerca di talent completi ed eclettici, ha cercato di capire se questo mismatch è dovuto a un‘effettiva mancanza di skill specifiche nella generazione dei neo-lavoratori o se, complessivamente, l’offerta di figure non riesce a star dietro allo sviluppo del mercato.
Un mercato Europeo del lavoro in difficoltà
La situazione attuale del mercato del lavoro in Europa è, per quanto eterogenea e difforme nel complesso, non troppo confortante.
Trattandosi comunque di un’area politico-geografica molto ampia ed estremamente variegata, abbiamo preso in esame quattro Paesi per un’analisi più specifica: Svizzera, Italia, Francia e Germania. La scelta non è stata né aleatoria né tanto meno arbitraria; si è scelto di esaminare quattro realtà che sono vicine tra di loro sia geograficamente che, per alcuni versi, culturalmente.
I dati raccolti mostrano che a livello Europeo ci sono stati due diversi tipi di calo occupazionale: uno relativo al numero di persone impiegate, l’altro riguardante le ore lavorate complessivamente.
Se in media il livello delle persone occupate (fascia 14-65 anni) è calato di circa 6 punti percentuali, il numero di ore lavorate ha avuto una diminuzione più esigua, sebbene comunque preoccupante (circa lo 0,5%). I dati relativi all’occupazione giovanile (fascia 16-24 anni) sono in media non troppo positivi (se si eccettua la Svizzera, con il 60% di giovani occupati). Un altro dato interessante è che in entrambe le due categorie d’età si nota una differenza, seppur non sostanziale, tra una fascia “mediterranea” (Francia e Italia) e una “continentale” (Svizzera e Germania); il dato non è certamente nuovo, e ha radici sociali e antropologiche che affondano molto indietro nel tempo.
Nonostante le percentuali in discesa negli ultimi due anni, dovute soprattutto alla situazione pandemica, si nota un dato in crescita: la richiesta di figure professionali digitali.
Uno shift verso il digitale
Questo shift di richieste è una conseguenza diretta dell’evoluzione del mercato; il passaggio a un’economia sempre più dematerializzata, che si realizza quasi all’80% su internet, ha reso sempre più alto il bisogno di specialisti nelle varie professioni digitali. Questo cambio porta con sé diverse micro-rivoluzioni sociali; il sistema educativo nel tempo dovrà uniformarsi a questo genere di formazione, anch’esso dematerializzandosi il più possibile. Le dinamiche d’interscambio e di relazione stanno profondamente mutando; non si intaccano tuttavia i rapporti personali (il workflow online rende più necessari i rapporti fisici fuori dall’orario lavorativo). Come abbiamo spiegato poi anche in un altro articolo, anche le abitudini di consumo dei cittadini stanno rapidamente adeguandosi ai trend appena citati.
Le nuove figure richieste dal mercato digitale
La crescita esponenziale di questo mercato ha richiesto la creazione (o in alcuni casi l’evoluzione o adeguamento) di diverse figure professionali; si tratta delle tanto ricercate professioni digitali. Non solo però; anche altri tipi di professionisti, non sempre radicalmente legati al mercato IT, stanno vedendo il proprio campo d’impiego in espansione.
Il ritorno a quello che viene oggi definito new normal, ossia la ripresa dei ritmi di lavoro e di vita post-pandemia, ha confermato e accelerato un risultato che in molti avevano pronosticato: il futuro e il presente del mercato del lavoro sono, essenzialmente, digitali.
Tra le figure professionali più ricercate negli ultimi due anni ce ne sono diverse che MBK ha integrato (o di cui ha rafforzato l’apporto) in azienda; di queste, almeno due sono maturate completamente nell’ambito digital, una è legata all’IT e due usufruiscono dell’apporto delle prime pur lavorando fuori dall’ecosistema digitale:
- full stack developer – negli ultimi anni questa figura ha dovuto integrare le classiche conoscenze informatiche con le nuove tecnologie, specialmente in caso d’interazione col marketing (si pensi al mobile e alla sua presenza nella vita del cliente). La richiesta sempre più pressante poi di soluzioni tailored, disegnate sui bisogni dell’azienda, presuppone livelli di preparazione e “creatività” molto alti;
- HR specialist – la presenza di un responsabile delle risorse umane non è più quella di un mediatore di conflitti, recruiter o compilatore di buste paga; si tratta sempre di più di una figura cardine nel panorama corporate. Oltre alle nuove sfide portate dalla gestione del capitale umano a distanza, si parla di un’enfasi particolare sulla employee experience, ossia sul monitoraggio e gestione del sentiment interno al personale; saperla tenere sotto controllo assicura risultati più apprezzabili a livello aziendale, diminuendo il turnover e incrementando la produttività e l’immagine dell’azienda di fronte a investitori e nuovi candidati;
- responsabile logistica – in questo momento non si tratta più di un gestore dei trasporti e degli approvvigionamenti, ma di una figura importantissima che coniuga i bisogni della supply chain ai mezzi di IT, marketing e procurement in maniera fluida, rapida e funzionale. La serie di soft skill richieste per completare questo profilo generalmente è frutto di esperienze molto eterogenee e strettamente pratiche. Non è semplice trovare profili in linea con le necessità;
- marketing specialists – in questa categoria rientrano diverse figure professionali che operano quasi al 100% nel settore digitale: CMO, SEO analyst, UX designer, copywriter, grafici; sono figure estremamente intercambiabili tra di loro, i cui profili spesso si intersecano e completano a vicenda. Difficilmente lavorano in compartimenti stagni, più di frequente tutte le operazioni sono condotte in team e secondo progetti condivisi. La formazione è difficile da individuare, per quanto anche le università oggi si stiano attrezzando. Più spesso parliamo comunque di professionisti nati in ambiti molto diversi che si sono piegati al mercato per passione e curiosità, arrivando a formarsi autonomamente, in azienda o meno;
- customer care – anche qua il discorso relativo a degli studi specifici purtroppo non è semplice. La figura del responsabile all’assistenza clienti richiede infatti, oltre a cospicue dosi di empatia, una predisposizione al problem solving fulmineo altissima. Se fino a pochi anni fa il tutto veniva semplicemente risolto in una filiale fisica o dialogando al telefono col cliente, oggi molte operazioni di assistenza al cliente devono essere svolte con un’interfaccia digitale.
Il dato più interessante con cui abbiamo a che fare costantemente è questo: l’università, ma in generale il mondo della formazione, ancora non si è adeguata completamente alle richieste di mercato.
Un mismatch qualitativo
Questo non significa che studiare sia inutile; una preparazione accademica di base è nella maggior parte dei casi fondamentale.
È anche vero però che una parte significativa delle skill richieste dalle aziende oggi è essenzialmente legata alle esperienze personali. Tutto questo genera un paradosso abbastanza problematico; se da una parte si richiedono ai giovani lavoratori competenze che difficilmente l’università riesce a fornire, dall’altra non si da l’opportunità di maturarle perché è richiesta più esperienza. Risulta chiaro che, in questo clima di mismatch delle skill, molti giovani non riescono a inserirsi nel mercato del lavoro, e molti recruiter falliscono nel trovare personale adeguato.
Abbiamo chiesto un’opinione a Federico Valvasori, CFO di MBK Fincom e ProduceShop, nonché uno dei responsabili delle selezione dei candidati in azienda:
“Un fattore su cui noi puntiamo sempre è l’avere un contatto con le risorse che selezioniamo; la valutazione delle hard e soft skills infatti, a nostro parere, deve passare per una sorta di “verifica” diretta.
Un CV può certamente raccontare tanto, e darci le informazioni necessarie a una prima scrematura; a volte però scegliamo di andare oltre il curriculum e verificare alcune sensazioni che, magari da un messaggio o da una chiamata, hanno fatto trasparire un talento che non si è espresso totalmente nel descriversi.
Nella quasi totalità dei casi indoviniamo: andando spesso aldilà della preparazione o del titolo, abbiamo assunto dei talent formidabili con un background preparato totalmente in autonomia, che si sono rivelati elementi chiave per l’azienda. Un laureato in economia con la passione per l’informatica che diventa IT manager, un traduttore che ama la scrittura diventa SEO copy, un ex contabile che dirige la logistica: a volte le combinazioni sono curiosamente interessanti, ma ci aiutano a capire come le dinamiche di recruiting di molte HR (con alcune delle quali ci siamo confrontati), siano troppo legate al documento e meno alla risorsa.
Inoltre, per ProduceShop, tendiamo a selezionare profili giovani, spesso alle prime esperienze. La motivazione, la voglia di fare e la capacità di adattarsi a un ambiente in continuo sviluppo e modifica; sono queste le caratteristiche che si trovano soprattutto nelle prime fasi della vita da lavoratore.
Quello di ProduceShop è poi un contesto innovativo e tendenzialmente fuori dagli schemi; assumere personale già formato presso altre aziende, può portare ad un mancato fitting tra figure che dovranno lavorare in una realtàpiù visionaria e proiettata verso il futuro e altre che hanno lavorato in aziende anche di rilievo, ma nei primi anni 2000 e probabilmente già consolidate.
In questo modo rischiano di lasciarsi sfuggire dipendenti validi, ma soprattutto motivati da un interesse e una conoscenza sviluppati non solo attraverso lo studio.”
In conclusione
Un consiglio importante che si può dare alla nuova generazione di lavoratori e neolaureati è questo: le aziende non cercano solo il titolo; molte skill trasversali, o tante competenze primarie ormai, possono essere tranquillamente acquisite in autonomia, approfittando e approfondendo le nuove conoscenze richieste dal mondo digitale.
Approfittate di corsi online, webinar, MOOC e studio; puntate sul personal branding e mostrate in maniera pratica e diretta quanto valete. Dimostrate quanto il vostro know-how sia fondamentale per l’azienda per la quale applicate.
Per i recruiter: andate oltre il CV, le competenze vanno testate, non raccontate.
Fonti:
- PR aziendali
- Dipartimento sviluppo ProduceShop
- Dipartimento HR ProdueShop (https://mbkfincom.com/)
- Istat
- Eurostat.eu
- Factorial
- Ti.ch
- OECD – Better Life Index Europe
- Trading Economics
- BFS
- Il Sole 24Ore